Apri Facebook e sai già cosa ti aspetta: non notizie, non aggiornamenti importanti, non la foto del matrimonio di un amico. No. Trovi un gatto. Sempre un gatto. A volte due. A volte cinquanta, tutti caricati da quella persona che sembra avere una missione: riempire il web di baffi e fusa come se fosse una terapia collettiva obbligatoria.
Benvenuti nell’universo della gattara digitale, creatura social a metà tra un fotografo naturalista e un predicatore dell’amore felino.
Quadro clinico
I sintomi tipici della gattara digitale sono riconoscibili già dopo i primi scroll:
- Compulsione da click felino: ogni gesto del gatto diventa un evento epocale. Se dorme 18 ore al giorno, ecco 18 post con didascalia tipo “Che tenerone il mio piccolo leone!”.
- Selfie parassitario: la gattara digitale non pubblica foto di sé. O meglio: sì, ma con il gatto davanti. Non esiste un’identità senza il felino come filtro esistenziale.
- Proiezione emotiva patologica: “Oggi Micio era triste…”. No, signora: Micio stava guardando il muro. È un gatto, non Dostoevskij.
- Sindrome da influencer mancato: tentativi di far diventare famoso il proprio gatto con pagine dedicate, hashtag ridicoli e merchandising casalingo (“comprate la maglietta di Pallina!”).
Stadi evolutivi
La malattia segue un decorso progressivo, diviso in fasi:
- Fase acuta iniziale: prima foto del gatto con la scusa del “Non resistevo, è troppo carino!”.
- Fase cronica: tre post al giorno, album “Gatto 2023”, “Gatto 2024”, “Gatto che dorme 2025”.
- Fase terminale: creazione di un profilo Facebook separato per il gatto, che finisce per avere più amici veri del padrone.
Diagnosi differenziale
Non confondere con:
- Il cinofilo da parco: corre con il cane e pubblica foto sudato, convinto che interessi a qualcuno.
- L’hipster delle piante: pubblica solo ficus e monstere con citazioni zen.
- Il parente boomer: condivide catene di Sant’Antonio e fake news, ma almeno non ti inonda di baffi.
Prognosi
La guarigione è rara. L’esposizione cronica al like facile (perché, ammettiamolo, sotto un gatto si mette sempre il like) rinforza il disturbo. Alcuni casi estremi finiscono a commentare foto di altri gatti con frasi tipo “Troppo cuccioloso, amore mio”, come se i felini potessero leggersi tra loro.
La gattara digitale non vuole solo condividere foto: vuole trasformare il tuo feed in un grande condominio felino dove sei costretto a bussare piano, per non disturbare.
E tu, povero utente innocente, che volevi solo leggere un paio di notizie, ti ritrovi intrappolato nella spirale di “Micio con cappellino”, “Micio che fa le fusa”, “Micio con sguardo esistenzialista”.
La vera psicopatologia, alla fine, non è la loro. È la nostra incapacità di dire: “Basta gatti”.