In Italia si registra un calo complessivo degli omicidi, ma la riduzione dei numeri non modifica la sostanza di un dramma che rimane profondamente radicato nella società: la violenza contro le donne. I dati più recenti del Ministero dell’Interno, aggiornati a settembre 2025, mostrano che oltre l’80% delle donne uccise muore per mano di partner o ex partner. Un dato che, pur nel contesto di una generale diminuzione degli omicidi, conferma la persistenza di un fenomeno strutturale, e non episodico, che affonda le radici in dinamiche culturali, sociali e relazionali di lunga data.
I numeri del 2025: calano gli omicidi, ma resta la sproporzione di genere
Secondo l’ultimo report del Viminale, il numero complessivo degli omicidi è sceso da 255 a 224 (-12%). Anche le vittime donne diminuiscono, passando da 91 a 73 (-20%). Si riducono inoltre i delitti commessi in ambito familiare o affettivo, che passano da 122 a 98 (-20%), e le vittime femminili in questo contesto scendono da 79 a 60 (-24%).
Tuttavia, se si osservano le proporzioni, emerge un quadro inalterato: gli uomini sono più spesso vittime di sconosciuti o di contesti criminali, mentre le donne continuano a morire in spazi privati, all’interno di relazioni affettive. Dei 151 uomini uccisi, solo il 6% è stato assassinato da partner o ex, mentre per le 73 donne uccise la percentuale sale al 60% — che diventa un impressionante 83% se si considerano i casi avvenuti in ambito familiare o relazionale.
Questo significa che, quando una donna viene uccisa, nella maggior parte dei casi è la violenza domestica a spezzare la sua vita. È proprio questa dinamica che definisce il femminicidio: l’uccisione di una donna “in quanto donna”, frutto di un modello culturale che considera la donna proprietà o estensione dell’uomo, e non soggetto autonomo.
Un fenomeno sottovalutato e difficilmente quantificabile
Nonostante la gravità del problema, il Ministero dell’Interno non utilizza ufficialmente il termine “femminicidio”, preferendo categorie più generiche come “omicidi in ambito familiare o affettivo”. Ciò riflette la difficoltà istituzionale nel riconoscere pienamente la specificità del fenomeno, proprio mentre in sede legislativa si sta discutendo di un inquadramento penale autonomo del reato di femminicidio.
A complicare il quadro, da quest’anno il Viminale ha scelto di pubblicare i dati con cadenza trimestrale anziché settimanale. Una scelta che, pur forse dettata da esigenze tecniche o amministrative, finisce per ridurre la trasparenza e ostacolare un monitoraggio tempestivo del fenomeno. In un momento in cui la raccolta dei dati è cruciale per individuare le falle del sistema di protezione, questa decisione appare poco comprensibile.
Le falle del sistema di protezione
I numeri, pur importanti, non bastano a raccontare la realtà. Le cronache recenti ricordano come spesso le donne che chiedono aiuto non riescano a essere protette. Il caso di Pamela Genini, 29 anni, uccisa dopo un anno di violenze note e denunciate, è solo uno dei tanti. Come lei, anche Elisa Polcino, assassinata insieme al figlio, e Cinzia Pinna, vittima di un femminicidio in Sardegna poche ore dopo, erano donne che avevano manifestato paura e cercato sostegno.
Episodi che mostrano come la rete di protezione — fatta di forze dell’ordine, magistratura, servizi sociali e centri antiviolenza — presenti ancora troppi buchi, in termini di coordinamento, tempestività e sensibilità verso i segnali di rischio.
L’importanza di contare e raccontare
In assenza di dati ufficiali e aggiornati, sono le associazioni e i movimenti femministi a mantenere viva l’attenzione. Realtà come Non Una di Meno aggiornano costantemente le liste dei femminicidi, dando un nome e una storia alle vittime. Un gesto politico e civile, che serve a restituire dignità alle donne uccise e a ricordare che dietro ogni numero c’è una vita spezzata, una famiglia distrutta, una comunità ferita.
Dalla denuncia agli impegni concreti
Affrontare i femminicidi non significa solo punire i colpevoli, ma prevenire la violenza. Servono investimenti strutturali in prevenzione, educazione di genere, sostegno economico e psicologico alle vittime, potenziamento dei centri antiviolenza e formazione specifica per le forze dell’ordine.
La sicurezza delle donne non può dipendere dal coraggio individuale di denunciare, ma dalla certezza di trovare un sistema capace di accoglierle, ascoltarle e proteggerle.
Come ricordano le associazioni, non servono proclami, ma politiche pubbliche. Solo così si può costruire un Paese in cui nessuna donna debba temere di essere uccisa nella propria casa o da chi dice di amarla.
Se stai subendo violenza, stalking o minacce, puoi contattare il numero gratuito 1522, attivo 24 ore su 24. È possibile anche chattare online con operatrici specializzate o rivolgersi ai centri antiviolenza aderenti alla rete D.i.Re, presenti su tutto il territorio nazionale.
